Criteri di valutazione all’an debeatur del reato-fine di usura
Secondo la sentenza della Cassazione del 09-11-2020 n. 24992, la corretta INTERPRETAZIONE LETTERALE dell’art. 1815 c.c. sancisce una NULLITÀ PARZIALE e NON una NULLITÀ TOTALE che investe tutto il negozio giuridico. Conseguentemente, in caso di USURA ORIGINARIA di un finanziamento rateale, per gli ermellini della Sezione III la non debenza degli interessi riguarda solo quelli usurari (MORATORI O CORRISPETTIVI) ma non quelli non considerati dalla clausola nulla, che rimangono interamente dovuti. In altre parole, il finanziamento rateale con la sola clausola usuraria degli INTERESSI CORRISPETTIVI o degli INTERESSI MORATORI non diviene quindi necessariamente gratuito, ben potendo residuare il pagamento degli interessi non colpiti dalla sanzione della nullità, comunque dovuti dal finanziato all’intermediario. La gratuità, invece, sussiste quando entrambe le clausole degli INTERESSI CORRISPETTIVI e degli INTERESSI MORATORI sono usurarie.
Si legge nelle motivazioni della Cassazione del 09-11-2020 n. 24992 che “5. La ricorrente, comunque, argomenta in seguito la propria tesi sulla base della FORMA LETTERALE dell’art. 1815 c.c., comma 2. Prevedendo che “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”, tale norma imperativa – prospetta il motivo – “non si limita a sancire la sola nullità della clausola, ma dispone altresì (si noti l’uso della congiunzione “e”) che non sono dovuti interessi, senza alcuna distinzione tra interessi moratori e interessi corrispettivi”: il che sarebbe coerente alla sua ratio “di punire, anche sul piano civilistico, una condotta penalmente rilevante“, onde una lettura riduttiva la depriverebbe della sua portata sanzionatoria. E non sarebbe possibile che “l’usuraio possa legittimamente lucrare – se pur nei limiti del tasso corrispettivo – sulla vittima del reato.”
Gli ermellini della Sezione III danno la loro INTERPRETAZIONE LETTERALE dell’art. 1815 c.c. che “non si pone a favore della tesi della ricorrente. L’espressione “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi” ha come chiave di lettura proprio la congiunzione “e”, la quale, peraltro, conduce alquanto agevolmente ad un significato diverso da quello prospettato nel motivo. Infatti la congiunzione unisce nullità della clausola e non debenza di interessi, dal che razionalmente si deduce che gli interessi non dovuti sono quelli previsti nella clausola nulla. Circoscrivendo a quel che si definisce “la clausola”, il legislatore – è ragionevole intendere – non ha investito TUTTO IL NEGOZIO, bensì ha dettato una NULLITÀ PARZIALE e, immediatamente, ne ha determinato gli effetti in termini pieni e realmente sanzionatori: avrebbe potuto anche decurtare la debenza esclusivamente della cresta superante il tasso soglia, ma lo ha voluto inequivocabilmente escludere, facendo cadere tutti gli interessi che la clausola risultata nulla regolava. Il centro della norma, allora, è proprio “la clausola”; e il collegamento ad essa nella parte conclusiva del comma circoscrive al contenuto della clausola il significato di tale dettato finale. Il fatto che manchi l’articolo davanti all’ultima parola del comma – “e non sono dovuti interessi” in luogo di “e non sono dovuti gli interessi” – potrebbe effettivamente deviare verso una INTERPRETAZIONE ESTENSIVA se non vi fosse proprio la congiunzione che, rapportando “interessi” a quella “clausola” che “è nulla”, limita – e ancor più di quanto avrebbe potuto effettuare l’inserzione dell’articolo – l’oggetto della sancita non debenza. Una INTERPRETAZIONE CORRETTAMENTE LETTERALE, in conclusione, non consente di “svincolare” dalla clausola nulla gli interessi non più dovuti: devono essere, quelli caducati per la nullità, proprio e soltanto gli interessi previsti in quella clausola”. Si legge successivamente che “applicando l’articolo 1815, secondo comma, c.c. come prospetta la ricorrente non cadrebbe una sola clausola, bensì verrebbe tutto immutato e diverso, invertendo, in ultima analisi, la congiunta volontà delle parti in ordine alla configurazione del regolamento negoziale. Tutta la congiunta volontà delle parti, perché, ovviamente, il mutuante, se avesse saputo che non avrebbe tratto alcun vantaggio dal concedere il mutuo, non sarebbe addivenuto a stipularlo, e l’accordo non sarebbe esistito. Se è così, la nullità in realtà non si confinerebbe ad una clausola, bensì investirebbe l’intero negozio, sostituendolo con un altro ex lege. Il cambiamento della natura, da onerosa a gratuita, è infatti talmente radicale da non conservare una compatibilità con il consenso raggiunto dalle parti contraenti. Le parti hanno raggiunto “l’accordo” di cui all’articolo 1321 c.c.: tale accordo, per nullità di una clausola, nella interpretazione prospettata dalla ricorrente diverrebbe pienamente diverso. Allontanandosi, allora, da questa reductio ad absurdum, non si può non rilevare che il legislatore ha fatto una scelta conservativa – NULLITÀ PARZIALE – di tipico genere, cioè ha investito della sanzione civile solo il focolaio di illegittimità – la clausola degli interessi usurari -, e non l’INTERA conformazione dell’accordo negoziale. E dunque il negozio “resta in piedi”, conservando il suo nerbo di onerosità: cade la debenza esclusivamente degli interessi regolati dalla clausola nulla, il che significa che possono essere non dovuti gli interessi corrispettivi se la clausola nulla li riguarda, e che possono essere non dovuti quelli moratori se la clausola nulla riguarda loro. La sanzione non contagia le clausole legittime. Peraltro, se ENTRAMBI i tipi di interesse siano usurari, nulla osta a intendere che in quel caso tutte le clausole relative al superamento del tasso soglia cadano nella nullità (a parte che, naturalmente, il regolamento negoziale potrebbe dedicare al saggio un’unica clausola per entrambi: la conseguenza sarebbe identica), e che, a questo punto, essendosi dinanzi ad una fattispecie estrema, estrema sia anche la conseguenza della sanzione civile, poiché allora l’onerosità concordata è stata radicalmente e compiutamente illegittima, investendo la reale natura del negozio: dunque, il negozio diventerà gratuito.”
È alla luce delle argomentazione specificate nell’articolo I REQUISITI E I CRITERI DI IDONEITÀ DEI BANCARI LATU SENSU PROVANO IL DOLO NEI REATI CONSEGUENTI ALL’IMPIEGO DEL SISTEMA FRANCESE e nella sentenza della Cassazione del 24-09-2009 n. 20543 che devono essere letti i principi di diritto espressi dalla Cassazione del 09-11-2020 n. 24992 sulla RATIO LEGIS che ha mosso il legislatore a emanare la norma dell’art. 1815 c.c.. Si legge nelle motivazioni che “La RATIO NORMATIVA non è d’altronde confliggente con quel che emerge dal dettato letterale, bensì gli è pienamente sintonica. Il motivo (ricorso) tenta di individuarla nella intenzione di “punire, anche in sede civile, l’usuraio” evitando che possa “legittimamente lucrare – pur nei limiti del tasso corrispettivo – sulla vittima del reato”. Il primo rilievo che si deve muovere avverso questo asserto è che la pattuizione di interessi con un saggio superiore al tasso soglia non costituisce, di per sé, reato, dal momento che coincide esclusivamente con l’ELEMENTO OGGETTIVO della fattispecie criminosa. L’articolo 644 c.p. prevede un delitto doloso, il quale, naturalmente, è costituito anche dallo specifico ELEMENTO SOGGETTIVO. La clausola nulla ex articolo 1815, secondo comma, c.c. si pone su un piano diverso, a nulla rilevando l’esistenza o meno di un dolo sotteso alla formazione della volontà di stipulare detta clausola. Nell’applicazione dell’articolo 1815, secondo comma, c.c. non si è di fronte a un “usuraio” né ad una “vittima del reato”, bensì, soltanto, ad una nullità per violazione di norma imperativa“.
Questa interpretazione della RATIO LEGIS da parte dalla Cassazione del 09-11-2020 n. 24992 è contraria al PRINCIPIO DI UNITARIETÀ e di NON CONTRADDIZIONE dell’ordinamento giuridico. Infatti, l’INTERPRETAZIONE SISTEMATICA che rispetta le finalità perseguite dalla norma penale e coglie le connessioni concettuali esistenti fra la norma penalistica dell’art. 644, comma 4, c.p. e la norma civilistica di pari grado dell’art. 1815, comma 2, c.c. comporta che la nozione del codice civile di “… (…) … interessi usurari, … (…) …” comprende sia ogni tipo di INTERESSE sia tutte le ALTRE VOCI di COSTO e la lettera “… (…) … non sono dovuti interessi” stabilisce che l’intermediario deve restituire sia ogni tipo di INTERESSE addebitato sia tutti gli ALTRI COSTI corrisposti collegati all’erogazione del credito ad esclusione dell’IMPOSTE e TASSE.
Di questo avviso è la decisione del Collegio di Coordinamento dell’ABF del 08/06/2018 n. 12830 che ha sancito il seguente principio di diritto: “Una volta verificato il superamento del tasso soglia rilevante ai fini dell’usura genetica, in virtù della corretta interpretazione del secondo comma dell’art. 1815 cod. civ. – letto in connessione con il quarto comma dell’art. 644 cod. pen. – che sancisce la nullità della clausola, restano colpiti non solo gli interessi propriamente intesi, ma tutti gli oneri e le spese inclusi nel calcolo del TEG, compresi i premi assicurativi, escluse imposte e tasse, che, pertanto, debbono essere restituiti al mutuatario”.